Vedere il presente attraverso il passato: l’accordo segreto di Sykes – Picot

++ MO:GAZA;UCCISO BIMBO 18 MESI,GRAVI FRATELLI 4 E 5 ANNI ++

Nel 1916 venne siglato un accordo segreto tra i governi del Regno Unito e della Francia, denominato accordo Sykes-Picot, per definire le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente in seguito alla sconfitta dell’impero ottomano nella prima guerra mondiale.
La vittoria della Francia e dell’Inghilterra sugli ottomani fu possibile grazie all’aiuto delle popolazioni che risiedevano nell’impero, per lo più arabi musulmani. In caso di successo venne loro promessa, come ricompensa, la costruzione della Grande Arabia, un grande stato islamico e panarabico, ancora oggi obiettivo principale per i gruppi più ribelli come Al Qaida ed ISIS.
L’accordo tuttavia si rilevò non veritiero, e vennero invece creati piccoli stati sotto la diretta influenza inglese e francese: il Regno Unito ebbe il controllo delle zone comprendenti la Giordania, l’Iraq ed una piccola area intorno ad Haifa, mentre alla Francia ebbe il potere nella zona sud-est della Turchia, la parte settentrionale dell’Iraq, la Siria ed il Libano.
La suddivisione del potere venne studiata a tavolino, senza tenere conto della popolazione che si ritrovò separata da limes politici invalicabili, oltre a non aver la possibilità di autodeterminare il proprio destino storico e politico.
In queste zone, l’Europa ha esercitato il proprio dominio in forma diretta, con la presenza di funzionari inviati dal continente, fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando la maggioranza degli stati del Medio Oriente ha dichiarato la propria indipendenza.
Volgendo lo sguardo al passato, la domanda inevitabile è: che cosa sarebbe oggi del Medio Oriente, se l’Europa fosse stata meno avida e bramosa di potere, a partire dall’accordo segreto di Sykes – Picot?

Maria

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Donne sacerdotesse: il diritto all’uguaglianza nel campo ecclesiastico

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L’11 novembre 1992 il sinodo generale della Chiesa anglicana si riunì per decidere a proposito dell’apertura del sacerdozio alle donne. L’esito del voto, seguito in diretta televisiva, fu favorevole all’ordinazione sacerdotale femminile.
Come è noto, il sacerdozio femminile è escluso nella religione cattolica ed ortodossa. Già Giovanni Paolo II aveva reso nota la propria posizione al riguardo nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994, e anche papa Francesco si è espresso sull’argomento: “per quanto riguarda l’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e ha detto no. Giovanni Paolo II si è pronunciato con una formulazione definitiva, quella porta è chiusa. Ma ricordiamo che Maria è più importante degli apostoli vescovi, e così la donna nella Chiesa è più importante dei vescovi e dei preti”.
La Chiesa sostiene che non ci siano motivi pregiudizievoli contro il sacerdozio delle donne, tuttavia il dubbio sorge spontaneo. Che cosa ha impedito alla Chiesa, nel corso dei secoli, di aprire alle donne la possibilità di far parte dell’Ordine Sacro? Risponde Giovanni Paolo II: “il fatto che Maria Santissima, Madre di Dio e della Chiesa, non abbia ricevuto la missione propria degli apostoli né il sacerdozio ministeriale, mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all’ ordinazione non può significare una loro minore dignità o una discriminazione… Il ruolo femminile nella vita e nella missione della Chiesa, pur non essendo legato al sacerdozio ministeriale, resta assolutamente necessario e insostituibile”.

Maria 

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John Fitzgerald kennedy, il giorno che divenne Presidente

Kennedy

Martedì 8 novembre 1960 John kennedy si trovava a Boston. Era il giorno delle elezioni e lui era il candidato del Partito Democratico. Il suo sfidante era il repubblicano Richard Nixon. Kennedy si alzò alle 7.30 si infilò il busto ortopedico e ingerì due compresse di anfetamine. Egli soffriva da tempo di terribili mal di schiena dovuti a due gravi lesioni, una riportata da ragazzo in una partita di football e la seconda in un’azione di guerra nella Seconda Guerra Mondiale. La moglie Jacqueline, sposata nel 1953, era incinta di otto mesi del loro secondo figlio e lo raggiunse a Boston per andare a votare. Dopo aver votato fecero ritorno presso il quartier generale della famiglia kennedy a Hyannis Port, precisamente presso l’ abitazione di Robert Kennedy. I risultati elettorali vennero attesi nella notte tra l’ 8 e il 9. Nella famiglia Kennedy e nei collaboratori serpeggiava molta agitazione. John Kennedy ostentava un certo distacco e si mostrava silenzioso. Verso le tre del mattino fu chiaro che gli scrutinii vertevano a suo favore con 261 voti elettorali, ne mancavano 8 per la vittoria. A Los Angeles risiedeva il quartier generale di Nixon, presso l’ Hotel Ambassador. Il candidato repubblicano apparì in televisione molto deluso e sua moglie Pat in lacrime. Pierre Saliger, il portavoce di Kennedy, invitò John a presentarsi ai media ma ricevette un solenne rifiuto. John stava mangiando un panino, era troppo tardi per lui e se ne andò a dormire. Il fratello Robert invece rimase sveglio tutta la notte a controllare i vari responsi di quelle elezioni. Kennedy vinse con 303 voti elettorali contro i 210 di Nixon che nel sistema americano fu una vittoria di stretta misura in termini di voti popolari, il margine fu il più risicato della storia fino alle elezioni del 2000. Nel 1960 quel divario fu di 112.881 voti. Kennedy si svegliò alle 9 del 9 novembre 1960, fece colazione con la moglie e la figlia Caroline e andò a fare una passeggiata sulla spiaggia. Al suo ritorno gli arrivò la notizia che fu eletto Presidente.

Ettore Poggi

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La Chiesa nella tempesta

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La corruzione del clero, specialmente quello romano, è un fenomeno oramai bi-millenario. Esso trae la propria origine dall’antica pratica delle famiglie aristocratiche prima solo romane, poi delle varie signorie italiane, di collocare un proprio familiare all’interno della curia romana, se non addirittura condurlo al pontificato. Come non ricordare allora, a tal proposito, due importanti esponenti della potente e prestigiosa famiglia fiorentina dei Medici che salirono al soglio pontificio: Giovanni di Lorenzo dé Medici, pontefice con il nome di Leone X e Alessandro di Ottaviano dé Medici. Anche se nel medioevo e successivamente nel rinascimento il potere papale si riduceva al controllo del Lazio, di parte della Campania a e della Toscana, assimilabile quindi alle altre signorie presenti sul territorio italiano, il suo potere spirituale era talmente forte e importante da influenzare non solo le signorie stesse, ma anche i conquistatori stranieri, ad esempio i francesi. La deriva della corruzione del clero si ebbe con la compravendita delle indulgenze e la riduzione a mero pagamento economico della remissione del peccati, della salvezza dell’anima e del posto in paradiso. Solo alcuni pontefici, forti spiritualmente e a cui interessava il bene delle anime cristiane hanno tentato, durante il loro periodo di governo della Chiesa, di arginare queste derive da parte di tanti clericali poco spirituali e più economi. Ancora oggi la lotta è dura e, come dimostrano le ultime vicende interne al Vaticano dimostrano, senza esclusione di colpi. Oggi di quel messaggio cristiano divulgato dai primi apostoli rimane un flebile filo di spiritualità che consente alla Chiesa di continuare il proprio cammino di fede, seppur zoppicando. Quanto sono attuali oggi quelle parole che Paolo di Tarso scrisse nella I° lettera ai Corinzi come monito ai primi cristiani spersi sulla via di Cristo e come guida per ritrovare la strada della spiritualità vera: “…fede, speranza e carità, ma di queste la più importante è la carità”.  Queste tre virtù teologali furono i tre pilastri scelti da Paolo come fondamenta per costruire la Chiesa di Cristo. Pilastri che oggi come ieri sprofondano in un terreno troppo malsano e paludoso. Innocenzo III sognò che i pilastri della Chiesa stavano cedendo e che essa era oramai sull’orlo del precipizio quando vide un uomo, un povero vestito di stracci che sorresse gli stessi pilastri e risollevò la Chiesa, Innocenzo III vide chiaramente Francesco d’Assisi in quel povero. Oggi un altro Francesco cerca di risollevare quei pilastri, forte di fede, speranza e carità, almeno la sua.

Roberto

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La Grande Guerra

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Dalle macerie della disfatta di Caporetto nasce la riscossa italiana: vinciamo a Vittorio Veneto, liberiamo Trento e Trieste, l’Austria-Ungheria firma l’armistizio, il 4 novembre la guerra è finita e pochi giorni dopo costringiamo la Germania a sottoscrivere l’armistizio. Il giovanissimo stato italiano, mal organizzato e ancor meno equipaggiato, vince la prima guerra mondiale. I fattori di questo successo si possono trovare non certo nella preparazione del conflitto bellico, come al solito sottovalutato dal comando generale; non certo nella forza di uno stato nato da appena cinquant’anni, ma dilaniato da conflitti interni: si era fatta l’Italia, ma non ancora gli italiani; non certo nelle risorse politico-economiche interne del paese: l’Italia essendo sempre stata alla mercé dei conquistatori stranieri fu sempre più saccheggiata che condotta verso il progresso. Rimane allora da considerare quel fattore umano, tanto presente nei versi delle canzoni che rievocano la prima guerra mondiale. Parole come sacrificio, umiltà, Piave, vittoria, Italia erano sulla bocca di tutti i soldati che si apprestavano ad andare al fronte, anche di quei ragazzi del ’99 (1899 si intende), che dopo la disfatta di Caporetto, a soli quindici-sedici anni furono arruolati nelle fila dell’esercito. Furono quelle idee e quei sentimenti nati nell’Ottocento da quei moti rivoluzionari, che portarono l’Italia a costituirsi Stato, a spingere quegli stessi italiani a difendere quella stessa giovane patria. Il 4 novembre 1921, raccolto il corpo di un soldato deceduto durante il primo conflitto mondiale e di cui non si conoscevano le generalità, venne eretto a Roma il monumento al Milite Ignoto e venne deposta al suo interno la bara di questo soldato. L’intento fu quello di mantenere viva la memoria di quanti diedero la vita per difendere la patria, ma oggi non ce lo ricordiamo più.

 Roberto

La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso Ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuna divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatre divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX corpo d’armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, dell’VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perdute quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecento mila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinque mila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.

Armando Diaz – Comando Supremo, 4 Novembre 1918, ore 12

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