Janis Joplin 27 Perl

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Il 4 ottobre 1970 finì la parabola terrena di Janis Joplin. Cantante statunitense,  nata il 19 gennaio 1943. Fu ritrovata tra il comodino e il letto di una stanza in un motel, vittima di un’overdose di eroina. Era una ragazza, giovane. Con lei nacque il club dei 27 ovverosia tutti quei giovani maledetti che morivano all’ età di 27 anni come Jim Morrison, Jimi Hendrix, Kurt Cobain e altri. Figlia di un’impiegata e un ingegnere, vive la sua gioventù con grandi complessi riguardo il suo aspetto fisico e con la ribellione di chi ritiene di non essere sufficientemente amata. Ebbe a dichiarare che lei faceva l’amore con 20.000 persone tutte le sere per rendere l’ idea di come lei si ponesse nei confronti di chi andasse ad ascoltarla ai suoi concerti, regalando loro “a piece of my heart“. Come riportava una sua canzone lei è una Perl, una perla, la più grande cantante blues di tutti i tempi. Negli anni sessanta a vent’anni se ne andò di casa, e iniziò il suo girovagare musicale con diverse band. Iniziò parallelamente i suoi viaggi con la droga, l’eroina, che credeva le desse una più ampia gamma creativa. Si riforniva sempre dallo stesso spacciatore. Il 3 ottobre 1970 finì tardi di registrare una sessione dell’album Perl, e andò in un bar a bere con i musicisti, lei beveva molto Southern Comfort, beveva sempre molto, e guidava anche ubriaca la sua Porsche. Si disse anche che aspettasse alcuni suoi amici che non si presentarono. Delusa e bisognosa di qualcosa, cercò il suo spacciatore ma non lo trovò. Si servì da un altro che non conosceva. L’autopsia chiarì poi che la dose fatale era di eroina pura al 50%, e la mandò in overdose. La sua voce roca e acuta che mescolava dolore e rabbia affogò nel baratro di una siringa ma continuò il suo trascinante viaggio nel suo album postumo Perl. Una voce che le consentiva di emergere dalla mediocrità che la circondava e che in lei ha inflitto le pene più intime e dure dalle quali usciva sporadicamente nello spazio di una canzone.

Ettore Poggi

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Janet Gaynor, la più bella del reame

 

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Janet Gaynor, nome d’arte di Laura Gainer, è nata a Filadelfia il 06 ottobre 1906.
Nel 1929 è la prima attrice a vincere un premio oscar per la sua performance in tre pellicole: 7th Heaven (1927), Sunrise: A Song of Two Humans (1927) e Street Angel (1928). E’ l’unica attrice nella storia del cinema ad aver vinto un oscar per la sua partecipazione e prestazione in tre diversi film contemporaneamente.
Nota al grande pubblico grazie ad alcune pellicole western, l’attrice si afferma poi per la sua immagine “anti -vamp” dovuta soprattutto alla dolcezza dei lineamenti del suo viso, in netto contrasto con le donne più in voga all’epoca. Basti pensare che il volto che Walt Disney ideò negli anni ’30 per interpretare la figura di Biancaneve fu ispirato a quello di Janet.
La Gaynor è una delle poche attrici degli anni ’20 e ‘30 che riesce a compiere il passaggio tra muto e sonoro con successo, soprattutto grazie alla voce molto dolce e musicale che viene associata a figure femminili spesso delicate e infantili. Il grande successo non tarda ad arrivare anche in questo campo e vince nuovamente l’oscar come miglior attrice in A Star Is Born (1937).
Janet si ritira a vita privata nel 1938, uscendo di scena all’età di 32 anni.
Muore nel 1984 a Palm Spring, in California.

Maria 

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James Dean, l’ultima corsa

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Il 30 settembre 1955 morì James Dean. Aveva appena 24 anni 7 mesi e 22 giorni. Tre soli film da protagonista: La valle dell’ Eden, Gioventù Bruciata e Il Gigante. Prima del 1955 la sua carriera era costellata da qualche apparizione nelle serie televisive dell’ epoca e in qualche spot, a margine di ciò fece anche teatro. Già nel luglio di quell’ anno dopo la morte di un altro giovane attore Robert Francis, e una settimana più tardi dell’ attrice Suzanne Ball ebbe a dire con il tono di chi, mascalzone, sfida il destino che questi accadimenti succedono tre alla volta e che il prossimo sarebbe stato lui. Pochi mesi prima nel suo ultimo ritorno a casa era seguito da un fotografo di Life, Dennis Stock, a cui chiese di farsi fotografare per scherzo in una bara della locale camera mortuaria. La stessa che lo avrebbe poi ospitato per davvero mesi dopo. Come altri artisti maledetti amava corteggiare la morte, arrivare al limite e sfidare se stesso. Un curioso fatto di questa sua perversa esposizione di sé era dato dalla circolazione di foto che lo ritraevano in modalità cadaverica, ma che poi, quando morì, l’ unico scatto che circolò fu quello della sua Porche incidentata. Un miliardario giapponese Seita Ohnishi conserva nella sua cassaforte gli scatti del James Dean agonizzante realizzati da Sanford Roth, giunto sul posto dello schianto pochi minuti dopo. In quella giornata egli forse inconsapevolmente fece una serie di ultime cose. Alle 0.05 la sua ultima cena al Ristorante Villa Capri. Alle 7.20 la sua ultima colazione in Sherman Oaks al 14611 di Sutton Street. Alle 12.15 salutò  per l’ ultima volta il padre e lo zio al ristorante Patsy Pizza, nei pressi di Hollywood.  Alle 14.30 in Castain Junction bevve il suo ultimo bicchiere di latte. Alle 15.30 prese la sua ultima multa, firmando il verbale, firmò anche il suo ultimo autografo. Alle 17.00 a Balckwell’s Corner, mangiò la sua ultima mela e bevve la sua ultima Coca-Cola. Alle 17.59 incontrò la morte in uno scontro con una Ford. La sorte lo beffò un ultima volta mentre l’autoambulanza lo portava in ospedale, quando l’autista rallentò bruscamente abbagliato da un’ auto che proveniva in senso contrario. L’ auto dietro l’ ambulanza nel tentativo di evitare l’ impatto sterzò ma non fece in tempo ad evitare un beffardo tamponamento.  Da quel punto in poi iniziò una seconda vita per James Dean, quella che si svolge nel ricordo e nelle citazioni di chiunque lo abbia incontrato sia di persona che attraverso i mass media. La storia ci consegna un ragazzo che doveva ancora mostrare al mondo e a se stesso la sua cifra di artista, benché le premesse fossero esaltanti. Ma James Dean rappresenta molto altro, ovverosia la proiezione in noi stessi di quanto possa pesare ogni singolo frammento di vita condito dal talento che ci è stato dato in prestito. La sua leggenda è indubbiamente frutto degli anni 50, quando la macchina mediatica raccoglieva l’ evento riservando alle emozioni che esso procurava lo spazio necessario perché non fossero massificate, ma parcellizzate e cristallizzate nello stato d’animo di ognuno, senza che nessuno si permettesse di suggerire che tipo di emozione avremmo dovuto provare.

Ettore Poggi

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Una dolorosa liberazione: le “marocchinate” // A painful liberation: the “marocchinate”

goumiers

Il contesto storico è quello della II guerra mondiale, nello specifico le guerre di Montecassino. Dopo lo sbarco in Sicilia avvenuto il 10 luglio 1943, le truppe alleate avevano come obiettivo la liberazione di Roma e il ricongiungimento con altre truppe sbarcate nella zona di Anzio.
Gli scontri a Cassino e dintorni durarono dal 17 gennaio al 19 maggio 1944. In questo luogo si svolsero alcune delle battaglie più significative volte alla liberazione dell’Italia dalla forza nazifascista.
Tuttavia, la vittoria delle truppe alleate ebbe anche dei risvolti negativi, e sicuramente meno noti: il generale francese Juin, dopo la vittoria, concesse ai Goumiers – soldati di nazionalità marocchina – 50 ore di libertà assoluta come premio per aver sfondato la linea tedesca. Due giorni di libertà durante i quali i Goumiers commisero, sulla popolazione locale, atti di estrema violenza, talmente vergognosi per cui i libri di storia ancora oggi tacciono su questo argomento.
Secondo alcuni studi, i casi accertarti di violenza sessuale perpetrate dalle truppe algerine furono 20,000; ciò nonostante, si stima che le violenze possano aver interessato circa 60,000 persone, compresi uomini e bambini.
Una pagina di storia duplice, che ancora oggi non trova lo spazio e forse il pubblico adeguati per essere compresa, capita, accettata e soprattutto trasmessa alle nuove generazioni.

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The historical context is the World War II, specifically the wars of Montecassino. After the landing in Sicily on July 10th, 1943, the Allied troops’ goal was the liberation of Rome and to be reunited with other troops landed in the area of ​​Anzio.
The clashes in and around Cassino lasted from January 17th to May 19th 1944. In this area took place some of the most significant battles for the liberation of Italy from Nazi-fascist forces.
However, the victory of the allied troops had also negative aspects, and certainly less known: the French general Juin, after the victory, gave to Goumiers – soldiers of Moroccan nationality – 50 hours of absolute freedom as a reward for having broken through the Germany line. Two days of freedom during which Goumiers committed, on the local population, acts of extreme violence, so shameful that the history books still silent on the subject.
According to some studies, the certified cases of sexual violence perpetrated by Algerian troops were 20,000; nevertheless, it is estimated that the violence could have affected about 60,000 people, including men and children.
A page of history twofold, that still does not find the space and the audience perhaps appropriate to be understood, realized, accepted and overall forwarded to next generations.

Maria

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Da Cefalonia senza ritorno

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Il 23 settembre 1943 i tedeschi radunarono gli ufficiali e i sotto ufficiali italiani, tutti prigionieri, all’esterno del cortile della casetta rossa, a Cefalonia: a piccoli gruppi di cinque persone vennero fatti accedere all’interno del cortile e fucilati. Le esecuzioni durarono per tutto l’arco della giornata. Dall’esterno del cortile i soldati italiani, in attesa di essere fucilati, poterono solamente sentire il rumore delle mitragliatrici tedesche del plotone d’esecuzione. Fu verso sera che un ufficiale italiano chiese di poter conferire con gli ufficiali di pari grado tedeschi, chiedendo di far cessare le esecuzioni. Dopo alcuni minuti l’ufficiale tedesco uscì all’esterno del cortile comunicando ai prigionieri che l’alto comando tedesco aveva accolto la richiesta e concedeva loro salva la vita. I soldati italiani rimasti si guardarono, si abbracciarono e si contarono, erano rimasti in diciassette.
A seguito dell’armistizio chiesto dall’Italia e proclamato l’8 settembre 1943, i tedeschi dopo aver conquistato Cefalonia, occupata dal contingente italiano della divisione Acqui, uccisero tutti i prigionieri. Cinquemila soldati italiani vennero passati per le armi, fucilati e fatti annegare rinchiusi all’interno delle navi che vennero affondate; i loro corpi vennero bruciati, gettati nei fossi e pozzi.
La storia drammatica degli italiani a Cefalonia rappresentò la storia drammatica della seconda guerra mondiale condotta dall’Italia: scelte tattiche sbagliate, uno stato maggiore codardo, confusione nelle decisioni e un alto prezzo pagato dai soldati semplici.
L’intento iniziale stabilito dal duce, Benito Mussolini, fu di “spezzare le reni alla Grecia”, il fine inglorioso e nefasto fu che da Cefalonia di cinquemila soldati, ne tornarono diciassette.

Roberto

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