Maria Antonietta, l’ultima regina di Francia

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Il 02 novembre 1755 nasceva Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, moglie del re di Francia Luigi XVI, passata alla storia come una delle regine più capricciose e frivole di sempre.
Maria Antonietta e la sua storia incuriosiscono tutt’oggi, come dimostrato dagli incassi del film della Coppola Marie Antoinette (2006), in cui il lusso sfrenato e le stravaganze infinite sono i soggetti principali.
Molte delle curiosità e stranezze narrate nel film non sono tuttavia del tutto esatte e storicamente dimostrate.
In primo luogo, la più celebre regina di Francia non era affatto ghiotta di dolci e champagne, si afferma addirittura che Maria Antonietta fosse del tutto astemia e che avesse un’alimentazione molto più parca di quella del marito; una delle pietanze preferite della prima donna francese era, infatti, la zuppa di cavoli.
In secondo luogo, la famosissima frase “Se non hanno più pane, che mangino brioches!” che Maria Antonietta avrebbe pronunciato riguardo al popolo affamato di Parigi in realtà non fu mai proferita. L’origine della frase è incerta: secondo alcuni storici fu pronunciata da una dama della moglie del Re Sole, secondo altri da una delle figlie di Luigi XV. Quel che è certo è che la sfortunata frase fu affibbiata a tutte le sovrane straniere arrivate in Francia ed era molto in voga anche sotto il regno di Maria Antonietta.
Infine, nel film viene riservato poco spazio alle doti materne di Maria Antonietta. La regina fu una madre molto presente ed affettuosa; nei primi anni di matrimonio, quando la coppia non riusciva a procreare degli eredi al trono, la regina adottò diversi bambini che fece a vivere con lei a corte ed educò come se fossero figli reali.
L’immagine che Maria Antonietta ha lasciato ai posteri è quella di una donna superficiale e frivola; la domanda che ci dovremmo porre però è se questo archetipo di donna non sia frutto di un’invenzione posteriore o se, più presumibilmente, alcune caratteristiche della giovane sovrana non siano state ingigantite dagli allora detrattori della monarchia francese.
La monarchia francese trovò il proprio termine in concomitanza con la fine dell’ancien régime e la morte della donna austriaca, avvenuta il 21 settembre 1792.

Maria 

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La commemorazione dei morti

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Il culto dei defunti e le visite ai cimiteri diventarono un’abitudine comune in Occidente nella seconda metà dell’Ottocento. Questa nuova usanza fu facilitata da un lato dai positivisti, che ritenevano il culto dei morti un elemento di civismo, dall’altro dai cattolici, che in contrasto con quanto sostenuto fino al secolo precedente, provavano durante le visite al cimitero un “avvicinamento”, una sorta di incontro con i propri cari defunti.
Nell’Ottocento si venne a creare la forma di rito funebre più simile a quella che conosciamo oggi: l’introduzione di rigidi schemi di riti e rituali permise di accettare l’idea della morte e di creare una sorta di convivenza con essa, rompendo così il silenzio tra vivi e morti che vigeva da secoli ed esorcizzando anche la paura della morte.
A dimostrazione della demonizzazione della morte, venne modificata anche l’architettura dei sepolcri: i cimiteri come li conosciamo oggi, appena fuori dalle mura cittadine, furono infatti edificati proprio nell’Ottocento, dopo l’emissione dell’editto di Saint Cloud (1804). l cimiteri ebbero spazi sempre più grandi e monumentali, ricchi di statue e costruzioni. Le famiglie cominciarono a visitare insieme i cimiteri, e non è raro che le tombe monumentali rappresentassero proprio il nucleo famigliare come soggetto principale della scultura.
Un altro aspetto fondamentale che si venne a creare nel XIX secolo è il connubio tra morte e donna, ovvero la cosiddetta morte al femminile. Da una parte questa si identificava con la “donna angelo”, quella che accompagnava alla “buona morte” o che moriva ella stessa per consunzione; dall’altra, invece, si identificava con la “femme fatale”, la donna che faceva morire, spesso per malattie vergognose come la sifilide.
La partecipazione della donna ai riti funebri ha origini molto antiche, ma nell’Ottocento (ed in alcune zone in Italia fino alla seconda metà del Novecento) era molto comune la figura della prefica, ovvero della donna che era pagata per piangere e lamentarsi durante il funerale di uno sconosciuto.
L’onnipresenza della figura femminile svela il legame che univa, più fortemente che mai, Eros e Thanatos, l’impulso alla vita e quello alla morte: l’Ottocento ha rappresentato un secolo di transizione per quello che concerne l’elaborazione della morte, e nonostante la “repressione” da parte della Chiesa, molti rituali nati o riadattati in quel momento storico sono sopravvissuti sino ad oggi.

 Maria 

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Un orgoglio tutto italiano: Elena Lucrezia, la prima donna laureata al mondo

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La prima donna laureata al mondo fu una donna italiana vissuta nel XVII secolo di nome Elena Lucrezia Cornaro.
Nata nel 1646, figlia di nobili veneziani, i genitori ne incoraggiarono in tutti i modi l’educazione fin da bambina, quando Elena Lucrezia aveva già dimostrato di possedere notevoli capacità intellettuali.
Diciannovenne, la ragazza decise di prendere i voti ma proseguì i propri studi in materie religiose ed umanistiche, con l’aspirazione di laurearsi in teologia presso l’università – allora “studio” – di Padova. All’epoca non era comune per le donne compiere studi eruditi e tantomeno conseguire una laurea. Il caso di Elena Lucrezia rappresentò pertanto un’eccezione senza precedenti: nel 1678 riuscì ad ottenere, non con poco sforzo, la laurea in filosofia. A causa della sua condizione di donna, tuttavia, non poté mai esercitare la professione di insegnante.
Questo straordinario evento poté verificarsi grazie al sostegno del padre di Elena Lucrezia, vero e proprio mecenate dell’epoca, ma anche e soprattutto grazie all’acuta intelligenza e apertura mentale della ragazza.
Questa donna, orgoglio italiano ed esempio per tutte le studiose e non solo, è la prova della libertà e della forza squisitamente femminile: nonostante non fosse riuscita a rovesciare tutte le regole sociali allora esistenti (la laurea assegnatole era in filosofia e non in teologia, come ella avrebbe desiderato, ma anche l’impossibilità di praticare l’insegnamento ecc.), Elena Lucrezia aprì la strada, fino ad allora mai percorsa, al riconoscimento della capacità della donne di pensare e di “intellegere”.
Tutt’oggi la figura di Elena Lucrezia rimane troppo poco conosciuta, sebbene le siano stati dedicati alcuni riconoscimenti, targhe e piazze; le è stato dedicato anche un cratere sul pianeta Venere.

Maria 

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La Farfalla Granata vola più in alto

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Arrigo Sacchi ha definito il calcio come la cosa più importante delle cose meno importanti. Questo sport riesce a stimolare le emozioni più sanguigne e razionalmente inspiegabili ma in quanto tali sono sincere, tangibili nell’ animo umano. C’è una squadra che più di tutte è il catalogo emotivo più vasto e profondo senza eguali nel mondo e nella storia del gioco, il Torino. Ad esso è legata una delle storie più delicate e struggenti che valicano i confini granata per depositarsi nell’ anima di tutti, ovvero nel senza-tempo. Il protagonista è un ragazzo di nome Gigi Meroni, nato il 24 febbraio 1943 e morto a 24 anni il 15 ottobre 1967. Aveva fatto il disegnatore di cravatte e si dilettava con la pittura, era anche molto apprezzato. Ma la sua popolarità era dovuta principalmente al calcio. Giocava come ala destra, la numero 7. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili del Como, fu acquistato dal Genoa dove si impose come giovane dal futuro assicurato in seria A. Nel 1964 fu acquistato per una cifra esorbitante dal Torino allenato da Nereo Rocco. Furono spesi 300 milioni di lire. Non perse tempo nel dimostrare il suo valore sul campo. Il suo modo di stare in campo era l’ essenza del gioco puro, fantasia, dribbling,  tiro pennellato. Portava i capelli lunghi per l’ epoca e questo contrastò con il conformismo degli allenatori come Fabbri. Amava dipingere su tela e disegnare i propri eccentrici abiti. Il suo senso di anticonformismo e ribellione lo portò a presentarsi persino con una gallina al guinzaglio. Aveva un modo di fare che conquistava, tutti gli volevano bene. Si innamorò ricambiato di una bellissima ragazza di origine polacca, Cristiana Uderstadt, che lavorava come giostraia a Genova. Purtroppo lei era già promessa sposa ad un aiuto regista di Roma. Non si persero di vista e la loro relazione dette scandalo. L’ accusa di concubinato li accompagnò finché il matrimonio di lei non venne annullato. Viveva dapprima in una soffitta, poi in un appartamento di Corso Umberto I nel centro di  Torino. Segnò gol belli e importanti come quello all’ invincibile Inter di Mazzola e Facchetti che ancora oggi fanno vedere in televisione. Entrò anche nel giro della Nazionale. La domenica 15 ottobre 1967 giocò la sua ultima partita contro la Sampdoria, vinsero i granata per 4-2. Quel giorno Nestor Combin il centravanti numero 9 del Torino fece tre gol. A fine gara Gigi nel complimentarsi gli disse che la domenica successiva nel derby avrebbe fatto altri tre gol.  La sera, sotto la pioggia, nell’ attraversare Corso Re Umberto con l’amico Fabrizio Poletti venne investito da un auto guidata da Attilio Romero, tra l’altro tifosissimo del Torino. Gigi morì poco dopo in ospedale. Era morto lo sportivo che più di altri aveva rappresentato gli anni 60 con il suo talento sportivo, artistico con la sua vita unica e controcorrente. Nella storia del Torino fatta di drammi e collegamenti misteriosi c’è da menzionare la tragica omonimia che lega Gigi Meroni con Luigi Meroni il comandante dell’ aereo del Grande Torino morto a Superga il 4 maggio 1949. Il ragazzo che nel 1967 investì Meroni, Attilio Romero, nel 2000 divenne presidente del Torino. La domenica successiva si giocò in un atmosfera irreale il derby tra la favoritissima Juventus e il Torino. Quella domenica il Torino vinse 4-0 con tre gol proprio di Nestor Combin, e il quarto gol lo segnò il giovane Alberto Carelli che quella domenica vestiva la maglia numero 7. Un ultima curiosità è un dato statistico strano, quando il Torino gioca il 15 ottobre o in un intervallo strettissimo a quella data vince o pareggia, non perde mai. La farfalla granata, soprannome dedicato a Gigi Meroni, vola. Vola solo più in alto in una dimensione diversa più pura consentita a chi è stato trasfigurato dalla leggenda.

Ettore Poggi

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La conquista del diritto alla Lettura

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Oggigiorno è quasi scontato che chiunque sia in grado di leggere e di scegliere che cosa vuole leggere. In verità, questa conquista sociale è relativamente recente, soprattutto per quanto riguarda il mondo femminile.
Nel mondo occidentale l’alfabetismo di massa fu raggiunto soltanto durante il XIX secolo. Tuttavia la percentuale di lettrici femminili era molto diversa tra le residenti in città e in campagna, e soprattutto tra le capitali e il resto dei paesi.
Le prime letture che le donne ottocentesche erano incoraggiate ad intraprendere erano di stampo prettamente religioso, quali alcune vite dei santi e la Bibbia. Col tempo però le donne furono attratte da tipi di lettura per così dire più laici, e sorsero nuove tipologie di testi dedicati al mondo femminile come i libri di cucina e i romanzi popolari economici. I romanzi erano ritenuti squisitamente adatti alle donne, a loro volta viste come creature con capacità intellettive limitate, frivole ed emotive. Pertanto, il romanzo popolare fu ben presto associato a donne di scarse qualità e di dubbia moralità, donne che si lasciavano trascinare dall’immaginazione e dalle fantasie passionali di personaggi puramente inventati, come, per citarne uno soltanto, la famosissima Madame Bovary di Flaubert.
Questo tipo di letture erano quindi spesso, soprattutto nelle zone rurali, vietati dai capofamiglia.
Con l’avvento della prima guerra mondiale la donna poté cambiare la propria posizione sociale soprattutto a causa dell’assenza della figura maschile, impegnata sul fronte: molte donne ebbero infatti l’opportunità di cambiare il proprio stile di vita e il contesto sociale, estesero gli scambi interpersonali e si ritagliarono lo spazio necessario per frequentare circoli culturali e biblioteche.
Se si analizzano i tassi di analfabetismo oggi, c’è comunque un dato allarmante: secondo i dati dell’Institute for Statistics dell’UNESCO, il numero totale di analfabeti è di circa 771 milioni, di cui 2/3 di donne. Questo numero fa riflettere e pone sicuramente l’accento sulla disparità tra i sessi, tutt’oggi ancora presente, e sulle diverse possibilità di accesso alla cultura che hanno uomini e donne.

Maria 

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