Un Papa a… Vicoforte

Tra il 15 e il 16 agosto 1809 il romano pontefice Pio VII, Gregorio Chiaramonti, transitò a Vicoforte come ostaggio di Napoleone Bonaparte. Il papa arrestato in Vaticano il 5 luglio dello stesso anno fu condotto a Savona: durante il tragitto si preferì percorrere le strade interne del monregalese, anziché quelle lungo la costa perché ritenute più sicure contro le rivolte locali. Grande fu la commozione e l’affetto dimostrato dalla popolazione al pontefice: il sentimento popolare religioso era molto forte soprattutto nelle aree rurali del paese.

Ad oggi si può visitare, presso una delle cappelle laterali della basilica del Santuario di Vicoforte, il monumento che venne eretto in onore di Pio VII e la portantina che egli lasciò in dono alla popolazione vicese come segno del suo passaggio.

E’ celebre ancora oggi la frase con la quale papa Chiaramonti rifiutò di arrendersi a Napoleone:

“Non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo”.

Roberto Rossetti

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Roma Città Aperta, Cosa vuol dire

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Il 14 agosto 1943 il governo Badoglio proclama unilateralmente che Roma Città Aperta. Già il ministro degli esteri Raffaele Guariglia aveva anticipato tale annuncio il 31 luglio al Vaticano. Usa e Inghilterra avranno tale comunicazione dal Vaticano un mese dopo. Il diritto internazionale di guerra sancisce che la condizione di città aperta riguarda il fatto che viene smilitarizzata una città sia in senso difensivo che offensivo. L’utilità di tale mossa risiede nel fatto che si vuole evitare situazioni belliche pericolose, per la popolazione ma anche per salvaguardare i beni artistici e culturali di una città. Mentre l’ Italia era impegnata a realizzare “aprivano” all’ occupazione alleata, i tedeschi non concepirono minimante la soluzione e fecero di testa loro una strenua resistenza. Questò comportò la reazione alleata che bombardò Roma 51 volte prima di essere liberata il 4 giugno 1944.

Ettore Poggi

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Jesse Owens: la vittoria contro il razzismo

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Alle Olimpiadi di Berlino del 1936 la propaganda nazista curò nei minimi particolari la preparazione e lo svolgimento di questa manifestazione. Ogni azione filmato o video dovevano tendere ad un unico scopo: dimostrare la supremazia della razza ariana. Questa competizione fu l’opportunità per il Fuhrer di mostrare al mondo intero la potenza, la forza, ma soprattutto la rinascita della nazione tedesca. La regia dell’evento venne affidata alla regista Leni Riefenstahl, già autrice di due film propagandistici sul nazionalsocialimo: il compito di Leni fu quello di catturare le migliori inquadrature degli atleti tedeschi, mettendo in risalto la loro atleticità, la loro forza, la loro bellezza, il loro spirito ariano, come la natura aveva plasmato i corpi di questi atleti rendendoli perfetti. Come gli antichi combattenti spartani i tedeschi erano pronti a combattere per vincere, sia in campo sportivo che militare. Intanto, l’Europa rimaneva a guardare pensando di avere la situazione internazionale sotto controllo e non intervenendo contro l’affermazione dispotica del nazionalsocialismo, ma anzi cercando di sfruttarlo a proprio favore contro il potere russo. All’immobilismo europeo faceva contraltare un uomo forte, pronto a scalare il potere a qualsiasi costo, un’icona tedesca, un semidio: Adolf Hitler. Anche la prestigiosa rivista giornalistica “TImes” riconoscerà questo statuts al Fuhrer dedicandogli la copertina del 1938.
Nelle Olimpiadi del 1936 dove gli atleti tedeschi si dimostrano i più forti nelle varie discipline, dove tutto è organizzato per esaltare la loro supremazia, accade qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato e che provocò quel gesto di stizza del Fuhrer immortalato dalle telecamere. Accadde che un ragazzo americano di colore, Jesse Owens, vinse quattro medaglie d’oro: i 100 metri, il salto in lungo, i 200 metri, la staffetta 4×100 metri.
Un atleta di colore aveva vinto le maggiori competizioni dell’Olimpiade, un atleta di colore era salito sul gradino più alto del podio a testa alta lasciando al suo avversario tedesco il secondo posto, un atleta di colore aveva gareggiato e vinto contro il razzismo di un intero stadio, di un’intera società esaltata di arianesimo. Jesse Owens ha dimostrato quanto la teoria di superiorità della razza ariana propagandata dal nazionalsocialismo fosse assurda e senza alcun fondamento.
Oggi, in epoca contemporanea, assistiamo a nuovi fenomeni di antisemitismo, di discriminazione razziale, di pretesa di difesa di confini senza ricordarci che non esistono le razze, le quali sono una costruzione mentale dell’uomo ma esiste l’essere umano, che questa terra ci è stata donata dalla natura senza confini e che sempre su questa terra siamo degli ospiti.
Oggi ci vorrebbero più Jesse Owens, ci vorrebbero più persone che con coraggio e a testa alta ci ricordano che siamo tutti esseri viventi, tutti Uomini allo stesso modo.
Roberto

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25 luglio 1943 la prima caduta del fascismo

Gran-Consiglio

La battaglia di El Alamein tra l’ ottobre e il novembre 1942 in cui le truppe inglesi del generale Montgomery costrinsero alla resa le truppe italo-tedesche comandate da Rommel fu il segnale che per l’ Italia stava maturando la sconfitta totale nella Seconda Guerra Mondiale. Il Re Vittorio Emanuele III già dal maggio 1943 cercando un’ alternativa a Mussolini iniziò a colloquiare con Badoglio, inoltre pensò di ristabilire un dialogo con l’ Inghilterra. Il malcontento affiorava ovunque. Scioperi in marzo a Torino e Milano. Il 10 luglio 1943 gli angloamericani sbarcarono sulle coste italiane. Mussolini era consapevole di andare incontro alla sua fine, ma provò invano a cercare una mediazione con Hitler a Feltre il 19 luglio 1943. Volle proporre al Fuhrer l’uscita dell’ Italia dalla guerra, ma Hitler di pessimo umore non diede nemmeno la parola al dittatore italiano, si limitò a rinfacciare i limiti dell’alleato. Il Duce tornò a Roma la sera stessa, in quella giornata gli alleati avevano roscesciato uno spropositato quantitativo di bombe sulla capitale. La situazione era sempre più drammatica. Il 4 giugno 1943 il Re incontrò in udienza Dino Grandi, presidente della Camera. In tale occasione il sovrano indicò la procedura per riportare i poteri istituzionali a Sé dopo averli precedentemente consegnati al Duce. Occorreva quindi che un organismo istituzionale, il Gran Consiglio del Fascismo ad esempio, usasse i suoi poteri per esautorare Mussolini. Il Duce fu quindi messo alle strette e controvoglia, poiché aveva piena percezione della situazione, convocò la seduta straordinaria del Gran Consiglio per le 17 del 24 luglio 1943. Questo organo istituzionale fu creato nel 1928 e non si riuniva dal 1939. I membri del Gran Consiglio erano 28. Mussolini cercò di difendere il suo operato incolpando i suoi sottoposti di negligenze varie per giustificare le male sorti della guerra. Dino Grandi prese la parola e presentò il suo ordine del giorno nel quale chiedeva il ripristino delle attività istituzionali tradizionali e la riacquisizione da parte del Re delle deleghe di Capo dello Stato. La sua abilità oratoria gli consentì di stare in un particolare equilibrio nel condannare la dittatura di Mussolini che di fatto, secondo Grandi, rovinò gli ideali originali del fascismo. Mussolini ascoltò senza avere la forza di controbattere, ma ebbe un’ ultima carta, ovvero chiese qualche ora per sospendere la seduta. Ma Grandi fu inflessibile occorreva andare dritti fino alla fine, onde non rischiare di essere arrestati e dare scampo al Duce di riabilitarsi in qualche modo. Alle 2 del mattino seguente, Mussolini mise ai voti l’ ordine del giorno Grandi. La votazione fu la seguente: 19 voti a favore, 9 contrari e un astenuto. Mussolini sfinito domandò “chi porterà al Re il risultato?” Grandi gli rispose “tu lo farai”. Il giorno dopo il Duce fu ricevuto a Villa Savoia dal Re. Venne fatto arrestare dai carabinieri e tratto via in autoambulanza. Alle 22.30 la radio diede la notizia. Questa fu la prima caduta del fascismo, la seconda e definitiva avvenne il 25 aprile 1945.

Ettore Poggi

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