Un prete nella Resistenza: don Michele Lerda

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Durante gli anni della seconda guerra mondiale non è raro incontrare figure istituzionali – sindaci, maestri, preti – che hanno preso parte agli eventi storici della comunità in maniera forte e determinata.
E’ proprio negli anni della Resistenza della campagna cuneese, alle pendici del Monviso, che operò un sacerdote che visse giorno dopo giorno il dramma dei suoi parrocchiani e della sua gente, il cui nome è don Michele Lerda. “Cappellano dei partigiani”, don Lerda fu imprigionato quattro volte e fu svegliato migliaia di volte durante quelle lunghe notti per tentate di salvare qualcuno il cui destino era ormai scritto.
Don Lerda è l’autore del libro “Un prete nella resistenza piemontese” edito nel 1977, testo che rappresenta tutt’oggi una testimonianza lucida e chiara di alcuni dei fatti che colpirono Revello e comuni limitrofi dal 1943 al 1945.
Il libro, scritto a mo’ di diario, rimembra in maniera ordinata gli eventi salienti che hanno colpito la Valle Po e quelle attigue. Imprigionato più volte dai tedeschi, don Lerda svolse diverse attività “pro partigiane” durante gli anni della Resistenza, senza mai dimenticare tuttavia le persone più semplici, che subivano la guerra in maniera passiva, e che perdevano i loro cari durante i bombardamenti.
Il bombardamento forse più noto, e i cui effetti sono ancora visibili oggi in quel di Revello, è quello del 17 agosto 1944, così descritto da don Lerda:

17 Agosto 1944 – Cannoneggiamento di Revello
Squadre di tedeschi e fascisti giungono presso l’Airale: collocano una fila di cannoni contro Revello ed iniziano il tiro contro il campanile delle ore e contro quello della Chiesa di San Leonardo. Il campanile delle ore è colpito in parte e porta tuttora i segni degli obici, quello di San Leonardo è colpito in pieno e i tedeschi menano vanto per aver superato nel tiro i fascisti che sparano contro il campanile delle “ore” […]. Temendo che la brutale iniziativa continuasse, lascio la Canonica e mi dirigo verso il campo di tiro […]. Giunto però tra i militari trovo un’accoglienza freddissima, direi sprezzante […]. Me ne andai, facendo però il percorso per una ventina di metri con la faccia verso i militari. Dopo ripresi la strada verso casa, voltandomi però con frequenza verso i tedeschi e ciò nel timore che mi sparassero alla schiena, come erano soliti fare, mentre preferivo essere fucilato non nella schiena, ma nel petto.

Come ricorda lo stesso don Lerda, “una fulgida pagina di patriottismo e di carità hanno scritto durante la Liberazione i Sacerdoti”: quando si pensa ai grandi eventi mondiali, è facile ricordare i nomi e le azioni dei personaggi più famosi; tuttavia, restringendo appena l’obiettivo, emergono anche le personalità meno note, ma che nientemeno hanno saputo difendere i propri concittadini, aiutandoli a superare momenti difficili, senza chiedere nulla in cambio e lasciando invece un’eredità enorme, troppo spesso dimenticata.

 Maria 

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Misericordiae Vultus

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Il Giubileo della Misericordia si è aperto l’8 dicembre 2015, il giorno della festa cristiana dell’Immacolata Concezione. Papa Francesco lo ha dichiarato apertamente: questo Giubileo straordinario avrà come centro l’Uomo e si dovrà reggere su due pilastri: la Grazia e la Misericordia. La straordinarietà dell’evento si pone nel solco della difficile situazione dell’uomo nel mondo: povertà, dolore e sofferenza opprimono oltre un miliardo di persone. Nella celebrazione di ieri, Bergoglio ha ricordato il primato della Grazia e soprattutto come essa ha “avvolto la Vergine Maria, rendendola degna di diventare la madre di Cristo”. Ancora una volta, come accaduto già in passato con Papa Giovanni Paolo II, a Maria viene attribuito un ruolo fondamentale: non solo quello di madre di Cristo, ma di tramite tra Dio e l’Uomo. La festa dell’Immacolata Concezione è il giorno in cui è possibile unire la Grazia e Maria: la pienezza e la grandezza dell’amore di Dio, che è in grado di trasformare i cuori degli uomini. Attraverso la Grazia e l’amore di Dio tutto si trasforma: l’inizio della storia dell’uomo che nasce nel peccato si trasforma in amore che salvifica. Tutto questo è possibile perché Dio non è più immobile in attesa di essere cercato dall’uomo, ma esso previene, anticipa e salva l’Uomo. L’incontro tra Dio e Uomo avviene, simbolicamente e spiritualmente, attraverso il passaggio della porta santa. Secondo Papa Francesco “attraversare la porta santa significa scoprire la profondità della Misericordia del Padre”. Ecco il secondo pilastro. Ancora Bergoglio si rivolge all’uomo dicendo che è “necessario anteporre la Misericordia al giudizio, riscoprire quei sentimenti genuini di amore e tenerezza”. E’ nella Misericordia e per la Misericordia che l’uomo può ritrovare se stesso e vivere per se stesso, in comunità con i fratelli: per fare ciò è necessario ritornare alle origini, alla semplicità di una cristianità vissuta in povertà, non dimenticandosi che là dove c’è l’uomo c’è anche la Chiesa.

Roberto Rossetti

 

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Apollo XVII, la Luna per l’ultima volta

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Il 7 dicembre 1972 parte l’ultima missione americana verso la luna: è l’Apollo XVII. I suoi tre astronauti, il comandante Eugene Cernan e i due piloti Ron Evans e Harrison Schmitt, saranno gli ultimi esseri umani a mettere piede sulla faccia della luna. Scopo principale è analizzare il materiale lunare dell’altopiano più antico prodottosi a seguito dell’impatto con un asteroide: la collisione ha creato un profondo e largo solco, ribattezzato dalla Nasa come Mare Imbrium (Mare delle Ombre o Mare delle Pioggie). La missione oltre a rivelarsi un successo in quanto porta a termine tutti gli obiettivi prefissati stabilisce anche numerosi record, tra i quali: la più lunga permanenza di una missione con esseri umani sul suolo lunare, il tempo di attività extra veicolare lunare e il più lungo soggiorno di una missione sempre con esseri umani nell’orbita lunare. Inoltre, per la prima volta nelle missioni Apollo, il razzo viene lanciato di notte, alle ore 05:33, dal John F. Kennedy Space Center. Tuttavia, a seguito degli alti costi relativi alle missioni di esplorazione della luna, le missioni successive, rispettivamente Apollo 18, 19 e 20 vennero annullate. Durante il suo viaggio verso l’orbita lunare, l’equipaggio dell’Apollo XVII scattò una delle fotografie più importanti della storia: da una distanza di circa 29.000 Km gli astronauti fotografarono la terra nel buio dell’universo.

Roberto Rossetti

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Nino Di Matteo, un giudice senza Stato

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Antonino Di Matteo è un magistrato siciliano il quale, presso il palazzo di giustizia di Palermo, indaga sugli avvenimenti stragistici di inizio anni novanta, da Capaci a Via d’Amelio, che hanno sprofondato l’Italia in un clima di terrore e desolazione. Attualmente sta conducendo, come pubblico ministero, anche un processo denominato giornalisticamente “trattativa Stato-mafia” a carico di quei membri delle istituzioni che, proprio ad inizio anni novanta, hanno cercato di instaurare una trattativa con l’organizzazione mafiosa siciliana Cosa nostra. A seguito dei risultati raggiunti e delle scoperte giudiziarie che stanno portando alla luce date, avvenimenti e nomi di questi personaggi, appartenenti allo Stato e a Cosa nostra, il magistrato è stato dichiarato in pericolo di vita. La minaccia, o meglio la condanna a morte di Nino Di Matteo, è stata decretata dal boss Salvatore Riina nel novembre del 2013 dal carcere di Opera, dove è attualmente detenuto e sottoposto al regime carcerario del 41 bis. Le dichiarazioni del capo di Cosa nostra hanno causato un intensificarsi del sistema di protezione intorno al magistrato, limitando ulteriormente la sua libertà di cittadino. L’allarme ha raggiunto il livello massimo quando un pentito ha successivamente dichiarato che il tritolo era già arrivato a Palermo, 200Kg. Non solo, il pentito ha confessato i due piani per uccidere Di Matteo: detonazione di esplosivo, quale appunto il tritolo, tramite (forse) l’ausilio di un’autobomba; il piano bis, agguato tramite l’utilizzo di armi pesanti. Lo Stato, ad oggi, non ha saputo garantire una sicurezza tale al magistrato da potergli garantire piena libertà di spostamento e di operatività in merito alla sua azione giudiziaria. È un isolamento istituzionale al quale prima di lui altri magistrati e uomini dello Stato sono stati sottoposti. Come non ricordare la figura di Giovanni Falcone, un uomo professionalmente sempre sconfitto: bocciato nel 1984 come successore di Rocco Chinnici, bocciato nel 1988 come successore di Antonino Caponnetto, bocciato nel tentativo di accedere al CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), e sarebbe stato bocciato anche alla Super procura se, pochi giorni prima, in quel 23 maggio non fosse stato ucciso nella tragica strage di Capaci. La situazione paradossale alla quale oggi si assiste è che risultano essere gli stessi cittadini che scortano il magistrato: durante gli eventi, le manifestazioni, durante la sua attività quotidiana. Sono i semplici cittadini a permettere ad un magistrato di svolgere il proprio dovere di tutela dei cittadini e di garantirne l’uguaglianza di fronte alla legge. Ancora, l’aver chiamato a deporre alti membri, o ex membri, delle istituzioni ha generato una sorta di fastidio nei confronti dell’azione del giudice, dimostrando purtroppo che la legge ancora una volta non è uguale per tutti e che ad essa, in taluni casi, ci si può sottrarre. Nonostante questo difficile clima nel quale si trova ad operare, Nino Di Matteo prosegue la sua azione alla ricerca della verità, percorrendo quel percorso iniziato da Falcone e Borsellino, i quali a costo della loro vita hanno indicato la via della legalità, della giustizia e del senso civico, la via del fare il proprio dovere, senza scendere mai ad indicibili accordi, rifiutando ogni compromesso e vivendo nel rispetto delle leggi e dello Stato. Il cammino che Di Matteo sta percorrendo è difficile e insidioso, ma al suo fianco camminano tanti onesti cittadini perché ricordando cosa diceva Giovanni Falcone: “…si possono uccidere gli uomini, ma non le loro idee e le loro tensioni morali, perché queste continueranno a camminare sulle gambe di altre persone…”. Oggi queste idee camminano sulle gambe di Nino Di Matteo.

 

Roberto Rossetti

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Fondazione e Storia del Toro

 

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Il Torino Calcio nacque nel 1906 nella birreria Voigt, a Torino.

La fondazione avvenne con la collaborazione di alcuni dissidenti della Juventus guidati dallo svizzero Alfred Dick, che in seguito diventerà presidente del neo-Toro. La nuova società, in principio, utilizza diversi colori optando poi per quello granata.

Il primo incontro ufficiale venne giocato contro la Pro Vercelli, vinto dai granata 2-1. Nel 1912 il “Toro” partecipò anche ad una tournée in Sud America, conclusasi con sei vittorie in altrettante partite.

Negli anni ’40 entrò in scena il Grande Torino, capace di vincere cinque scudetti consecutivi e di vincere in un anno lo scudetto e la Coppa Italia.
Nel 4 maggio 1949 il Toro giocò un’amichevole a Lisbona contro il Benfica, ma al ritorno, a causa di una grave nebbia, l’aereo che trasportava il Toro andò

a sbattere contro il terrapieno della Basilica di Superga, cosicché tutti i giocatori del Toro morirono in un tardo pomeriggio, più precisamente alle 17:03.

A questa grande tragedia seguirono anni molto difficili, con il Toro che tornò in serie B andando poi, l’anno dopo, a vincere la Coppa Italia.
Nel 1976 il Toro tornò a vincere lo scudetto grazie alla splendida coppia d’attacco di Graziani e Pulici.

La sfida si ripeté l’anno dopo, dove il Toro arrivò secondo dietro la Juventus, ad un punto di distanza.
Nel campionato 1989-90 il Toro tornò per la seconda volta in Europa League, conquistando la finale ma “perdendo”, per modo di dire, contro l’Ajax:  Gianpaolo Ormezzano la ricordò come una “notte senza Dio”.
Nel campionato 1990-91 il Toro vinse la sua prima Mitropa Cup.
Nel 2005 il Toro fallì a causa di diversi problemi finanziari , cosicché il Toro ripartì dalla serie B grazie al presidente Urbano Cairo. Il 26 giugno 2005, il Toro, festeggiò il ritorno in serie A.
Dopo il 2005, però, il Toro retrocesse ancora due volte, ma nella stagione 2014-15 il Toro ritornò per al terza volta in Europa League arrivando fino agli ottavi di finale contro lo Zenit, perdendo 2-0 l’andata, ma vincendo 1-0 il ritorno.

Per me, oggi, essere un tifoso del Toro significa anche saper soffrire, perché non è facile tifare questa squadra; significa anche incitare e sostenere i granata fino alla fine, per portare a casa sempre una vittoria.

Davide Aimar (11 anni)

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