Blitzkrieg, La guerra lampo 1° settembre 1939

Polen, Halbkettenfahrzeuge

Il 1° settembre 1939 la Germania invase la Polonia, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Alle 04:45 cinque armate della Wehrmacht forti di 1 250 000 uomini, 2 650 carri armati e 2 085 aerei della Luftwaffe, invasero la Polonia con un attacco a tenaglia. La tattica impiegata è quella denominata Blitzkrieg, la guerra lampo. Il 2 settembre il Regno Unito e la Francia inviarono alla Germania un ultimatum che rimase inascoltato. Il 3 settembre, rispettivamente alle 11:45 e alle 17:00, le dichiararono guerra. L’esercito polacco disponeva di un milione di uomini ed era dotato di diverse centinaia di autoblindo e carri armati di modelli leggeri o vetusti, con l’appoggio di seicento aerei di modesta qualità. I polacchi seppur animati da tenacia non riuscirono a controbattere con una adeguata organizzazione militare. I generali polacchi impostando la lotta armata come guerra di trincea, non riuscirono a fermare l’ avanzata dei carri armati tedeschi che penetrando nelle retrovie agirono con delle perfette manovre di accerchiamento. La perfetta combinazione sincronizzata di fanteria meccanizzata, aviazione, artiglieria e mezzi corazzati effettuare uno sfondamento nelle linee nemiche usando la combinazione carri-artiglieria-aviazione. Una volta realizzato lo sfondamento, i carri si sarebbero portati in direzione dei centri logistici, puntando a tagliare le linee di rifornimento e ad accerchiare il nemico. La fanteria meccanizzata, al seguito delle colonne corazzate, avrebbe scortato i fianchi e delle retrovie della punta corazzata. Inoltre per aumentare l’ efficacia della propria azione aggiunsero lo Junkers JU87 B-1 detto Stuka, bombardiere da picchiata, per sostituire l’artiglieria e permettere attacchi di una certa portata anche molto oltre le linee nemiche. La campagna iniziata il 1º settembre ebbe termine il 6 ottobre con la resa delle ultime forze polacche. Il termine Blitzkrieg pare sia stato coniato da un corrispondente del Time durante l’invasione della Polonia, ma secondo alcune fonti si trattava di un termine già in uso negli anni 30. Una definizione forse più pertinente è quella data dai manuali di strategia tedeschi ovvero Bewegungskrieg, guerra di movimento.

Ettore Poggi

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La principessa di cuori: Lady Diana

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Il 31 agosto 1997 moriva, nel tunnel del Pont de l’Alma a Parigi, la principessa Diana Spencer.
Ex moglie di Carlo principe di Galles, è stata una delle donne più conosciute e ammirate del secondo Novecento per la sua eleganza, la sua semplicità e soprattutto per la sua storia, terminata nel tentativo di sfuggire ai paparazzi che la stavano inseguendo per le vie della capitale francese.
Tutti conoscono i dettagli del matrimonio infelice di Lady Di: la cerimonia si svolse il 29 luglio 1981 nella cattedrale di San Paolo a Londra. Fu un matrimonio “da favola”, seguito in mondovisione da centinaia di milioni di persone. Un anno dopo nacque l’erede al trono William, mentre nel 1984 nacque Harry.
Dopo aver dato alla luce i figli, Diana si prodigò sempre più in impegni di natura sociale ed umanitaria, come battaglie contro l’AIDS e la lebbra, e una famosa campagna contro l’impiego delle mine antiuomo.
Dalla seconda metà degli anni ’80, la relazione tra i due principi di Galles andò sempre più deteriorandosi, e nei primi anni ’90 vennero resi pubblici alcuni tradimenti che irrimediabilmente posero fine al loro matrimonio. Il divorzio venne ufficializzato il 28 agosto 1996. Dopo alcune relazioni, Diana cominciò a frequentare Dodi al Fayed, imprenditore egiziano.
Era con Dodi la sera del 31 agosto, ed entrambi, insieme all’autista, morirono nel terribile schianto.
Diana, nonostante gli scandali, fu una donna eccezionale, il cui ruolo iconico – caratterizzato da stile ed impegno sociale allo stesso tempo, l’ha portata ad essere l’incarnazione di un mito senza tempo.

Maria

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Bob Dylan, Highway 61 Revisited

dylanIl 30 agosto 1965 viene pubblicato uno dei più grandi capolavori musicali, targati Bob Dylan, dello scorso secolo, Highway 61 Revisited. Fa parte di una trilogia iniziata cinque mesi prima con Bringing It All Back Home e proseguita con Blonde On Blonde. Inciso in soli sei giorni nell’ agosto del 1965. La Highway 61 è una strada americana che va dal Minnesota (stato di nascita di Dylan) fino alla foce del fiume Mississippi. Questo lavoro fatto di testi raffinati e dell’ utilizzo della chitarra elettrica, prima Dylan era solito suonare quella acustica.  Dylan raccontò che si tratta di nove canzoni che come un viaggio notturno attraversano l’ America piena di bellissimi sconosciuti che non fanno ritorno a casa. Questa trilogia di album si snoda attraverso delle sontuose influenze. Se Bringing It All Back Home prende le mosse dai Beatles, Highway 61 è un accostamento agli Stones e Blonde on Blonde si trova sui sentieri di  Smokey Robinson. E’ un album che ha una sua coralità in esecuzione, c’è una vera band attorno a Bob Dylan nella costruzione di questo successo. La canzone che apre l’album è Like a Rolling Stone, divenuta un inno per generazioni. La rivista Rolling Stone l’ha eletta a canzone del secolo. La seconda traccia di Highway 61 Revisited è Tombstone Blues, un blues frenetico con versi del tipo “Il sole non è giallo, è un pollo… smetti di piangere, ingoia il tuo orgoglio.” It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry e From a Buick 6  sono un lamento per un amore non corrisposto apparecchiato in un blues  con piano e armonica. Chiude il lato A Ballad of a Thin Man, un pezzo che racchiude in se la grandezza dell’ opera, un atto di protesta. Il contrasto tra Dylan e la critica, dove quest’ ultima prova, senza avere gli strumenti necessari, a comprendere cosa passi nella testa dell’ autore. Tentativo che vede il Mr. Jones del testo a misurare la realtà in quadro deformato da personaggi che parlano una lingua sconosciuta. Queen Jane Approximately è una languida ballad sostenuta da organo e armonica che si nutre di alcuni riferimenti alla love story di Bob con Joan Baez. Highway 61 Revisited è la title track, la canzone che da il titolo all’ album. E’ un viaggio. Un ricettacolo delle situazioni più disparate dell’ intera esperienza umana in un ipotetico viaggio sulla Route 61. Just Like Tom Thumb’s Blues è un’ altra ballad, che racchiude in se tutti gli elementi che si potrebbero rintracciare in un film noir, donne di dubbia moralità, droghe, sesso e corruzione. Chiude l’ album Desolation Row, una lunga e potente immersione in un fiume di desolazione dove la realtà e l’immaginazione si fondono. E questo è quanto, uno degli album più belli che la musica degli anni 60 ci potesse consegnare.

Ettore Poggi

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I have a dream

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Il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington di fronte ad una folla in marcia di 200.000 persone Martin Luther King pronunciò il suo discorso simbolo. Parole ancora attuali oggi che risuonano tra le grida di speranza di un movimento, quello per i diritti civili, che ancora non ha raccolto pienamente i risultati che si prefisse. I media oggi ci consentono di apprendere quasi in diretta le scene di intolleranza e di odio razziale, come se in questi cinquantadue anni non si fosse fatto alcun passo avanti. Il rischio che i nostri orecchi si facciano sordi alle grida di speranza di MLK e che i nostri occhi normalizzino la violenza di alcune scene come fossero una variante mal girata di un film è sempre molto elevato. A poco serve la sola indignazione, a poco servono anche queste parole se non si innerva nella nostra società la cultura del rispetto, dell’ educazione, del valorizzare di ogni aspetto positivo che l’altro può portare. Il pregiudizio e la paura cieca e sorda hanno sempre spinto i più deboli a saltare nell’ abisso del male. Il male è figlio di una debolezza interiore a cui si può rifuggire con la luce della conoscenza e della cultura. Cultura che Martin Luther King introdusse nel suo discorso attingendo a Gandhi e a Lincoln oltre che alla Bibbia. Nel corso degli anni quel discorso è stato vivisezionato da molti studiosi provenienti da diverse discipline accademiche. Il ritmo, la scelta, la ripetizione di alcune parole chiave e l’ utilizzo della metrica come fosse applicabile alle regole della musica.  Sarebbe opportuno che in ogni aula scolastica ci fossero scritte sul muro accanto alla lavagna queste parole

“Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!

Io ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scoscesi saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede che mi porterò verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di cavare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.”

Ettore Poggi

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Una donna straordinaria: Madre Teresa

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Più di un secolo fa nasceva, il 26 agosto 1910, Anjëzë Gonxhe Bojaxhiu, meglio conosciuta come Madre Teresa di Calcutta. Premio Nobel per la pace, è una delle donne più famose e conosciute al mondo.
Originaria dell’Albania, era figlia di una famiglia abbastanza benestante. Tuttavia, dopo la morte del padre, si ritrovò in ristrettezze economiche. Cominciò quindi presto a frequentare la parrocchia e le associazioni che aiutavano le persone povere. Nel 1928 decide di farsi suora e che il luogo in cui avrebbe operato sarebbe stata l’India.
All’età di 27 anni prese i voti perpetui e il suo nome divenne Madre Teresa. Dopo più di dieci anni passati nei conventi indiani, la suora ebbe modo di trovarsi casualmente a contatto con l’India più povera, nel mezzo della guerra di indipendenza contro l’Inghilterra. L’incontro con la povertà più assoluta fu fondamentale nella vita di Madre Teresa, in quanto fu in in quella occasione che ricevette “la chiamata” ad essere al servizio dei più bisognosi, della gente di strada.
Nel 1948 ottenne l’autorizzazione ad andare a vivere tra i più poveri di Calcutta, dove si dedicò alla cura dei malati di lebbra. Dopo aver lavorato per dieci anni nella periferia della metropoli indiana, Madre Teresa ottenne l’approvazione da Paolo VI di aprire nuove case per i rifugiati anche all’estero. Questo contribuì a far crescere la fama della piccola suora.
Nel 1979, come già anticipato, Madre Teresa ottenne il Nobel per la pace. La donna rifiutò il tradizionale banchetto e destinò i fondi ricavati ai poveri di Calcutta.
Il 05 settembre 1997 Madre Teresa morì, all’età di 87 anni. Il suo nome tuttavia non fu dimenticato: papa Giovanni Paolo II fece aprire il processo di beatificazione della donna, che si concluse positivamente nel 2003.
“Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un sorriso” diceva Madre Teresa. Fu, seppur piccola e spesso indifesa, una rivoluzionaria: una donna che ha dedicato l’intera propria vita a quella degli altri, degli emarginati e dei meno fortunati.

Maria

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