L’inizio della Primavera di Praga

primaverapragaPraga, Il 5 gennaio del 1968, Alexander Dubček venne eletto segretario generale del partito comunista cecoslovacco. La Cecoslovacchia dal 1955 era firmataria del patto di Varsavia con l’Unione Sovietica e altri paesi del Blocco Sovietico. Patto che metteva i paesi alleati dell’Urss in una condizione di subalternità. Dubček sostituì Antonín Novotný, legato al partito comunista sovietico, dando il via al “nuovo corso”.
Iniziò la Primavera di Praga. Il nuovo corso che Dubček si propose di istituire nella Cecoslovacchia fu la concretizzazione di un processo di democratizzazione del paese. La realizzazione del “socialismo dal volto umano”. Questa necessità riformista partiva da lontano. Negli anni precedenti si era sviluppato un certo malcontento derivante da una fallimentare conduzione del terzo piano quinquennale del 1962. Ciò provocò una diminuzione del reddito nazionale l’anno successivo. Ad acuire lo stato di crisi fu la consapevolezza che le linee guida impostate erano dettate per lo più da Mosca. Ciò si sommava alla presa d’atto che il processo produttivo subì già un ridimensionamento considerevole nel decennio precedente sempre per assecondare le esigenze del paese guida, ovvero l’Urss. Questa situazione aprì una spaccatura nel partito comunista cecoslovacco. Frattura determinata dalla contrapposizione di un’anima filosovietica e una riformatrice di stampo slovacca. Inoltre la questione slovacca si faceva sempre più urgente dal momento che emergeva la mancata armonizzazione tra la compagine Ceca e quella Slovacca. Quest’ultima lamentava una penalizzazione a livello economico e una ingiusta repressione politica. Questo scenario favorì l’entrata di Alexander Dubček, già segretario del partito comunista slovacco. Le riforme riguardavano essenzialmente tre aspetti: introduzione di forme di mercato e iniziativa privata in alcuni settori; progressiva demolizione della censura attraverso una prima forma di libertà di stampa e di critica; tutela maggiore della persona da parte dello Stato Socialista. Queste azioni vennero guardate inizialmente con molta prudenza anche dallo stesso movimento operaio che temeva una possibile deriva capitalista. Ma la strada è quella della partecipazione concreta dei lavoratori nella gestione del lavoro e la pianificazione economica. Nei mesi successivi ci fu l’abolizione della censura. Seguì anche l’elezione nelle fabbriche dei delegati non più nominati dall’alto. Questi atti generarono preoccupazione nell’Urss e negli altri paesi satelliti che minacciarono di intervenire militarmente. Il pericolo dell’invasione sovietica fu decisivo. Gli operai e gli studenti si strinsero attorno al governo riformista.  Sebbene in Cecoslovacchia ci fu un’iniziativa riformista condotta dagli esponenti della politica e non una protesta popolare come avvenne nel 1956 in Ungheria, non si fece attendere la brutale e liberticida reazione dell’Unione Sovietica. Questa azione repressiva non produsse gli effetti auspicati anzi fece emergere gli aspetti più vulnerabili su cui l’Urss fondava il suo dominio sugli stati satelliti. Ovvero la folle paura dello stato sovietico della libertà altrui.

Ettore Poggi

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Cento passi tra mafia e libertà

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Peppino Impastato nacque il 5 gennaio 1948 a Cinisi, in provincia di Palermo; morì all’età di trent’anni per essersi opposto e per aver denunciato il sistema mafioso presente nel proprio territorio. Peppino fu un giovane che non accettò di allinearsi al clima omertoso presente nella Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta, non accettò mai di tacere di fronte all’evidente corruzione chela mafia e i clan della provincia di Palermo conducevano nelle zone della provincia, non accettò mai di rimanere in silenzio di fronte ai soprusi e alle violenze dei mafiosi nei confronti di coloro che, pochi, osavano ribellarsi, non accettò mai di abbassare la testa e di baciare la mano al boss del paese, non accettò mai di considerare persa la sua battaglia solitaria di giustizia, libertà e condanna della mafia. Peppino denunciò i boss mafiosi, compreso quello del proprio paese, Don Tano Badalamenti, e l’atteggiamento mafioso dei suoi compaesani, dei siciliani e di tutti coloro che pur vedendo, pur sapendo, giravano la testa per non vedere, non sentire, non sapere, facendo così il gioco di Cosa Nostra. Peppino lottò ogni giorno per liberare la propria terra dalla mafia. Ritengo che tutto quello che si debba sapere sulla vita di Peppino Impastato sia questo. C’è, tuttavia, una seconda biografia che mi piacerebbe portare alla luce e che sembra accomunare tanti altri ragazzi, uomini e donne, magistrati, commissari di polizia, agenti di polizia e uomini della scorta, morti giovani per mano della mafia: Rosario Livatino (38), Calogero Zucchetto (27), Roberto Antiochia (23), Ninnì Cassarà (38), Beppe Montana (34), Antonino Montinaro (30), Rocco Dicillo (30), Vito Schifani (27), Claudio Traina (27), Eddi Walter Cosina (31), Emanuela Loi (25) e Vincenzo Fabio Li Muli (22) e tanti altri. Costoro furono accomunati dalla convinzione che la legge fosse il bene e la mafia il male, soli nella propria terra e tra la propria gente, considerati illusi per la volontà di sconfiggere un avversario troppo forte e potente, considerati scomodi per non rimanere al proprio posto, in silenzio come tutti gli altri. Mi piace ricordare Peppino e questi ragazzi trentenni come persone che con coraggio hanno scelto di dire no alla mafia, hanno deciso di rimanere dalla parte del bene nonostante il male fosse più forte, hanno scelto di lottare per cambiare le coscienze con il loro esempio, hanno respirato quel “fresco profumo di libertà” che la ha rese libere di rifiutare “il puzzo del compromesso morale, della contiguità e quindi della complicità“. E’ stato grazie al sacrificio di Peppino che la gente ebbe il coraggio di affiggere un manifesto con scritto che Peppino non si era percosso da solo e poi suicidato, come brillantemente avevano subito riportato le forze dell’ordine e gli organi di stampa locali, ma che gli assassini di Peppino avevano un nome: “Mafia”. E’ stato grazie al sacrificio di Peppino che i giovani siciliani ebbero il coraggio di mobilitarsi, anche il giorno del suo funerale e di scortarne in massa la bara, di scendere in piazza e di manifestare a viso aperto il proprio dissenso verso i mafiosi.Cento passi separavano la casa di Peppino da colui che lo fece ammazzare, Don Tano Badalamenti. Il boss di Cinisi non capì mai Peppino, lo ritenne sempre più scomodo che pericoloso, circondato da pochi amici innocui: Don Tano comprese solo il giorno del funerale di Peppino, quando il suo ordine rivolto ai cittadini di Cinisi di non partecipare non venne ascoltato, quando vide la gente in piazza a manifestare contro la Mafia, quanto era stato grande Peppino e quanto aveva saputo coinvolgere le persone senza armi, soldi o potere, solo con la forza delle sue idee di bene e giustizia.
Cento passi che si trasformarono da quel giorno in migliaia di giovani passi che tutt’oggi camminano insieme per gridare, come faceva Peppino, che la Mafia è una montagna di merda.

Roberto Rossetti

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Per qualche Leone in più

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Il 3 gennaio 1929 nacque a Roma Sergio Leone. Regista e produttore cinematografico italiano. Figlio d’arte, i suoi genitori erano il regista Roberto Roberti (alias Vincenzo Leone) e l’ attrice Bice Valerian (alias Edvige Valcarenghi). Cresciuto a Trastevere, conobbe e studiò una vasta umanità romana che è poi entrata massicciamente nei suoi film. Fu un grande ammiratore dei film western di John Ford dal quale ricavò una distanza concettuale precisa: i personaggi di John Ford guardavano con speranza gli spazi sconfinati, i personaggi di Leone avevano paura di riceversi una pallottola in mezzo agli occhi. Il suo esordio risale all’età di quattordici anni con suo padre, nel film Bocca sulla strada. La sua seconda esperienza è targata De Sica, dove fece l’assistente gratuito e svolse la parte di un giovane prete nel film Ladri di biciclette. In seguito collaborò con registi del calibro di Gallone, Camerini, Soldati, Blasetti, Comencini e De Sica. Quando le produzioni hollywoodiane vennero a Roma a girare i film Peplum (storie in costume riprese dalla Bibbia) lavorò con registi come William Wyler e Mervyn LeRoy. Diresse la scena della corsa delle bighe in Ben Hur. Collaborò in Quo vadis e altri film americani. Questa esperienza gli consentì di sviluppare uno stile personalissimo che si è poi imposto a livello internazionale. Grandissimo narratore per immagini, Leone riusciva a dare spessore ai personaggi con i primissimi piani sugli sguardi. La sua regola era la spettacolarità in ogni scena. Un campo lungo e un primissimo piano erano studiati con la medesima grandissima attenzione.  Il suo primo film da regista fu Il Colosso di Rodi. Con i western Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più diede prova di composizione maniacale delle scene. Faceva uso dei dettagli spesso sulle armi usate dai suoi personaggi, sulle cosce dei cavalli, gli zoom plateali. Bernardo Bertolucci e Dario Argento furono gli sceneggiatori con lui di C’era una volta il West. Il film Il Buono, il Brutto e il Cattivo fu ispirato da un film di Kurosawa La sfida del Samurai. Possiamo tranquillamente individuare due trilogie nelle sue opere, la prima quella del dollaro (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono il brutto e il cattivo). La seconda trilogia quella del tempo e la memoria (C’era una volta il west, Giù la testa e C’era una volta in America). Stanley Kubrick ebbe a dire che senza i film di Sergio Leone non avrebbe mai realizzato Arancia Meccanica. Quentin Tarantino lo eleva a maestro e ogni suo film è farcito di citazioni leoniane. Clint Eastwood fu scoperto da Leone nella serie televisiva Rawhide. Il primo film di Clint Eastwood regista a prendere un oscar fu Gli spietati. Clint all’inizio del film pose la scritta in onore dell’ amico e maestro “a Sergio”. Il sodalizio con Ennio Morricone, secondo solo al binomio Lennon e McCartney, rese possibile la valorizzazione di un elemento comune al cinema e alla musica e trasporlo nel racconto filmico magistralmente, il tempo. Un uomo che viene raccontato come in apparenza serio e burbero, ma dall’animo buono e riflessivo. Possedeva senso dell’ ironia che mescolava con il cinismo in un equilibrio straordinario. Il suo ultimo film C’era una volta in America sviluppava una trama che intrisa di malinconia annodava i suoi temi prediletti: l’amicizia, il tradimento e la memoria. Attraversando diversi generi poliziesco noir il thriller psicologico e il dramma sentimentale. Quella maliconia che ha pervaso poi chiunque si sia appasionato al cinema di Leone. Lasciandoci per sempre il 30 aprile 1989 a chi lo ama ancora oggi viene da chiedersi cosa darebbe “per qualche film di Leone in più″.

Ettore Poggi

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