Antonino Di Matteo è un magistrato siciliano il quale, presso il palazzo di giustizia di Palermo, indaga sugli avvenimenti stragistici di inizio anni novanta, da Capaci a Via d’Amelio, che hanno sprofondato l’Italia in un clima di terrore e desolazione. Attualmente sta conducendo, come pubblico ministero, anche un processo denominato giornalisticamente “trattativa Stato-mafia” a carico di quei membri delle istituzioni che, proprio ad inizio anni novanta, hanno cercato di instaurare una trattativa con l’organizzazione mafiosa siciliana Cosa nostra. A seguito dei risultati raggiunti e delle scoperte giudiziarie che stanno portando alla luce date, avvenimenti e nomi di questi personaggi, appartenenti allo Stato e a Cosa nostra, il magistrato è stato dichiarato in pericolo di vita. La minaccia, o meglio la condanna a morte di Nino Di Matteo, è stata decretata dal boss Salvatore Riina nel novembre del 2013 dal carcere di Opera, dove è attualmente detenuto e sottoposto al regime carcerario del 41 bis. Le dichiarazioni del capo di Cosa nostra hanno causato un intensificarsi del sistema di protezione intorno al magistrato, limitando ulteriormente la sua libertà di cittadino. L’allarme ha raggiunto il livello massimo quando un pentito ha successivamente dichiarato che il tritolo era già arrivato a Palermo, 200Kg. Non solo, il pentito ha confessato i due piani per uccidere Di Matteo: detonazione di esplosivo, quale appunto il tritolo, tramite (forse) l’ausilio di un’autobomba; il piano bis, agguato tramite l’utilizzo di armi pesanti. Lo Stato, ad oggi, non ha saputo garantire una sicurezza tale al magistrato da potergli garantire piena libertà di spostamento e di operatività in merito alla sua azione giudiziaria. È un isolamento istituzionale al quale prima di lui altri magistrati e uomini dello Stato sono stati sottoposti. Come non ricordare la figura di Giovanni Falcone, un uomo professionalmente sempre sconfitto: bocciato nel 1984 come successore di Rocco Chinnici, bocciato nel 1988 come successore di Antonino Caponnetto, bocciato nel tentativo di accedere al CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), e sarebbe stato bocciato anche alla Super procura se, pochi giorni prima, in quel 23 maggio non fosse stato ucciso nella tragica strage di Capaci. La situazione paradossale alla quale oggi si assiste è che risultano essere gli stessi cittadini che scortano il magistrato: durante gli eventi, le manifestazioni, durante la sua attività quotidiana. Sono i semplici cittadini a permettere ad un magistrato di svolgere il proprio dovere di tutela dei cittadini e di garantirne l’uguaglianza di fronte alla legge. Ancora, l’aver chiamato a deporre alti membri, o ex membri, delle istituzioni ha generato una sorta di fastidio nei confronti dell’azione del giudice, dimostrando purtroppo che la legge ancora una volta non è uguale per tutti e che ad essa, in taluni casi, ci si può sottrarre. Nonostante questo difficile clima nel quale si trova ad operare, Nino Di Matteo prosegue la sua azione alla ricerca della verità, percorrendo quel percorso iniziato da Falcone e Borsellino, i quali a costo della loro vita hanno indicato la via della legalità, della giustizia e del senso civico, la via del fare il proprio dovere, senza scendere mai ad indicibili accordi, rifiutando ogni compromesso e vivendo nel rispetto delle leggi e dello Stato. Il cammino che Di Matteo sta percorrendo è difficile e insidioso, ma al suo fianco camminano tanti onesti cittadini perché ricordando cosa diceva Giovanni Falcone: “…si possono uccidere gli uomini, ma non le loro idee e le loro tensioni morali, perché queste continueranno a camminare sulle gambe di altre persone…”. Oggi queste idee camminano sulle gambe di Nino Di Matteo.
Roberto Rossetti