Venerdì 15 gennaio 1993
Ore 09:00 circa, via Bernini, Palermo
Dall’interno del vano posteriore di un furgone Fiat Iveco bianco posteggiato sul ciglio della strada un uomo, Balduccio di Maggio, vede uscire dal cancelletto di un residence un altro uomo, lo vede prendere posto sul sedile anteriore del passeggero di una Citroen ax, e lo vede partire accompagnato dal suo autista, Salvatore Biondino. Balduccio guarda gli uomini che sono al suo fianco dentro il furgone e con un semplice gesto del capo fa capire di aver riconosciuto l’uomo ma questi, non convinti, ridomandano a Balduccio se è sicuro della persona che ha visto; Balduccio ancora una volta con il capo fa capire di sì, ma questa volta aggiunge che si devono fidare per forza perché lui è l’unico che può riconoscere quell’uomo. Il furgone bianco si mette in moto e segue a breve distanza la Citroen ax, che intanto, dopo aver svoltato, si immette in via Regione Siciliana: nei pressi del motel Agip l’auto viene fermata dal furgone da cui scendono alcuni uomini incappucciati che con le pistole in pugno aprono le porte dell’Ax, prelevano i due uomini seduti all’interno, li incappucciano e li caricano sul furgone.
Ore 10:30 circa, Questura di Palermo
L’uomo riconosciuto da Balduccio di Maggio è in piedi, ha le manette ai polsi e le mani intrecciano tra loro le dita ruvide, la sciarpa è aperta e ricade sulla giacca di un abito di colore verde scuro, la testa è alta, gli occhi scuri e impenetrabili e i denti mordono il labbro inferiore quasi a voler trattenere la rabbia di quell’istante. L’uomo non lascia trasparire nessuna emozione, nessun sentimento, nessuna rabbia, nessuna paura, nessuna angoscia, nessun dolore, tutto è muto in lui, tranne un organo, il suo cervello. L’uomo non sta pensando a chi lo ha tradito, lo sa benissimo chi è stato, si sta arrovellando per capire come quest’altro uomo può averlo tradito, ma soprattutto come lui non se ne sia accorto. Lo sapeva che non si poteva e doveva fidare di nessuno, non si aspettava che proprio il suo migliore amico, corleonese come lui, lo avesse tradito. Solo dei cani ti puoi fidare, pensava mordendosi ancora le labbra, loro sono gli unici che rimangono sempre fedeli al loro padrone. E’ un animale in gabbia Salvatore Riina fu Giovanni, quella mattina alla questura di Palermo. E’ consapevole di due cose mentre viene fotografato e filmato come si confà con un trofeo di guerra: uno, che non uscirà mai più, ma questo lo può anche accettare, Cosa nostra si può governare anche dall’interno del carcere; due, che Falcone e Borsellino avevano iniziato a cambiare la società; quando era giovane lui, mai nessuno si sarebbe permesso di scendere in strada per applaudire gli sbirri alla cattura di un boss, e questo proprio non lo poteva sopportare.
Roberto