I luoghi della memoria: sacrificio, difesa e patria

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Quando si affrontano tematiche come il sacrificio degli alpini durante la seconda guerra mondiale si deve procedere con estrema cautela: da un lato, non affrontando l’argomento, si rischia di dimenticare il loro contributo, umano e militare, in quel conflitto; dall’altro, se si esagera trattando l’argomento con troppa enfasi si rischia di scadere in uno scontato demagogismo. Sulla seconda guerra mondiale tutto è stato detto e scritto. Sono stati prodotti testi, video, foto, racconti; si ha oggi una vastissima gamma di informazioni che ci raccontano l’accaduto. La lente d’ingrandimento con la quale si mette a fuoco questo conflitto, per cercare di spiegarne cause ed effetti, risalta i grandi personaggi della storia di quell’epoca (Hitler, Mussolini, Churcill, Stalin) e le grandi nazioni (Germania, Francia, Stati Uniti, Russia e Giappone). Tuttavia, una messa a fuoco così ampia rischia di offuscare chi, sul campo, ha combattuto la guerra in prima persona, in prima fila. Pur non dimenticando le atrocità subite dai prigionieri nei campi di concentramento, altri milioni di uomini hanno sacrificato la propria vita per difendere la propria patria. Hanno sacrificato la propria vita per difendere la propria patria. E’ una ripetizione voluta, anche se questa frase letta con gli occhi moderni risulta antiquata perché antiche risultano essere parole come sacrificio, difesa e patria. Questi tre concetti associati alla nostra nazione sono oggi, agl’occhi di noi contemporanei, dati per scontato: è infatti naturale ed evidente che la nostra nazione non richieda il sacrificio dei propri abitanti per la difesa dei propri confini nell’interesse della propria patria. Se oggi tuttavia, questi concetti sono così scontati da passare inosservati è perché qualcuno in passato li ha dovuti affrontare. Partendo dal principio naturale che nulla si ottiene dal nulla, allora anche questi tre concetti sacrificio, difesa e patria li abbiamo dovuti ottenere, conquistare sul campo di battaglia. Negli anni quaranta non era scontato per un uomo lasciare la propria famiglia, caricarsi uno zaino in spalla e incamminarsi a piedi lungo la via per andare in guerra. A Cuneo e provincia migliaia di uomini hanno lasciato le proprie terre e prestato le proprie mani di contadini alla patria. Il motivo di questa guerra era spesso troppo difficile da comprendere, e forse a quel punto importava anche poco cercare di comprendere le cause di quel conflitto. L’unica cosa che contava era tornare a casa vivi e difendere la propria terra. Sul primo punto la storia ci racconta di drammatiche battaglie e lunghe ritirate siberiane, sul secondo i nostri alpini hanno sempre risposto presente. Diventa sempre più difficile per noi, oggi, comprendere quel sacrificio perché purtroppo con il trascorrere degli anni vengono a mancare i diretti protagonisti che hanno combattuto quella guerra. Ci rimangono tuttavia quei luoghi di memoria teatri di scontri, di assalti, di battaglie, di morti e di preghiere. Sono luoghi che dovremmo imparare a conservare perché rappresentano il nostro passato, sono testimonianza del presente e una preziosa eredità per il futuro.

Rivolgo un ricordo particolare alla Quarta Divisione di Fanteria “Livorno” che tra il 1940 e il 1943 ha combattuto sul versante meridionale della valle di Stura in zona Passo Sant’Anna, Passo Lausfer, Cima di Crosillias, nella provincia di Cuneo. Il sacrificio di questi uomini ha permesso di mantenere una testa di ponte tra i confini di Italia e Francia consentendo successivamente alle truppe francesi di sfondare le linee nemiche sul versante settentrionale, costringendo il nemico alla fuga.

Roberto

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