Ieri sera mi sono imbattuta in un documentario che parlava di alcuni grandi dittatori del primo Novecento. Mentre ascoltavo il racconto dei loro crimini più atroci, mi sono posta un interrogativo: come potevano le donne di questi uomini accettare le azioni compiute dai loro compagni? In effetti, non tutte le donne dei criminali al potere nel XX secolo hanno accettato in silenzio le decisioni dei loro uomini.
Stalin, l’uomo d’acciaio, fu sposato con due donne. La prima moglie morì di tubercolosi nel 1907, quattro anni dopo il loro matrimonio. Nel 1919 il dittatore si risposò con Nadežda Allilueva. Nadja era figlia di un rivoluzionario russo ed ebbe modo di incontrare Stalin quando era solo una bambina. Dopo la rivoluzione, la ragazza divenne impiegata della segreteria di Lenin, lavoro che le dava grandi soddisfazioni sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista politico: Nadja era infatti convinta sostenitrice dell’ideologia leninista.
La donna ebbe due figli da Stalin: Vasilij Iosifovič Džugašvili, morto per alcolismo nel 1962, e Svetlana Allilueva, morta nel 2011.
All’età di 31 anni, dopo continui litigi con il coniuge, la donna decise di togliersi la vita con un colpo di revolver al cuore: era il 09 novembre 1932.
Robert Conquest scrive che la morte di Nadja “fu l’unica occasione in cui videro gli occhi [del dittatore] pieni di lacrime”. Ma pare anche che Stalin abbia detto a proposito della moglie che l’ ”ha lasciato da nemica”.
Un atteggiamento ambivalente quindi ha caratterizzato il comportamento di Stalin nei confronti della donna, fatto che contraddistingue diversi leader totalitari che troppo spesso non riescono più a distinguere odio ed amore.
Non si sanno con certezza i motivi che hanno spinto Nadja a togliersi la vita: forse non voleva essere complice di un uomo tanto malvagio e non voleva avere la coscienza sporca di chi, con il silenzio, diventa complice.
Come sostiene la Maglie, Nadja “si è sottratta al mostro, rinnegando così la vergogna di averlo amato”.
Maria