Paolo VI: un papa mai compreso

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Giovanni Battista Montini fu pontefice dal 1963 al 1978, con il nome acquisito di Paolo VI. Bresciano di origine, imboccò da giovanissimo la vita sacerdotale; lo studio della teologia in ambito ecclesiastico lo elevò a profondo conoscitore della dottrina della Chiesa. Negli anni Trenta approdò in Vaticano come segretario di Papa Pio XII a cui seguì la nomina ad arcivescovo di Milano. La morte nel 1963 di Papa Giovanni XXIII gli aprì le porte al pontificato. Il primo problema che il nuovo pontefice dovette affrontare furono i lavori del Concilio Vaticano II indetto dal suo predecessore. La Chiesa aveva compreso che il mondo stava velocemente cambiando e serviva una revisione dei suoi meccanismi per rimanere al passo con la società, ma trovare l’accordo fra le varie anime interne alla Chiesa fu un compito arduo che, tuttavia, Montini seppe condurre e portare a termine. Negli anni Settanta in Italia, i movimenti popolari a favore del divorzio e dell’aborto e le loro successive vittorie istituzionali marcarono il solco tra la Chiesa e la società. La risposta di Paolo VI fu affidata a due sue encicliche, l’Humanae Vitae e la Populorum Progressio: mentre la prima riaffermava con forza la centralità dell’uomo rispetto a Dio nel profondo rispetto dei dettami della Chiesa, la seconda condannava la povertà nel mondo, arrivando a giustificare la rivolta delle masse povere contro gli abusi delle dittature. Il mondo accolse gli scritti del pontefice in modo ambivalente: i riformatori lo definirono troppo conservatore, mentre i conservatori troppo riformatore. Il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e la lettera scritta di proprio pugno dal pontefice per la liberazione dell’amico rappresentarono l’ultimo atto della sua vita. Montini si spense il giorno della trasfigurazione del 1978 ripetendo quelle che erano state le ultime parole dell’apostolo Paolo: “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato il cammino, ho conservato la fede”.

Roberto

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